MUG MAI UNA GIOIA: LE TAZZE DI CBIB.      #FINALMENTE 

La Situa Tematica: Team Dimissioni.

Un tema, toccato più e più volte ne “La Situa” di CBIB, è quello legato alle dimissioni delle persone dal posto di lavoro. Il fenomeno, trattato ormai più o meno tutte le testate giornalistiche, è in forte crescita e per certi versi considerato anche “preoccupante”. Più che preoccupante direi che si raccoglie quello che si semina e, dopo che avete obbligato le persone ad accettare che il mondo del lavoro dinamico fosse meraviglioso, ora che le persone lo affrontano così -incredibilmente- non va più bene. Forse perché piaceva l’idea di fare contratti pessimi, da sei mesi (ma anche molto meno), non comunicando mai se sarebbero stati rinnovati, in modo da tenere sulla corda i lavoratori in ogni momento, potendo fare di loro, e chiedere loro, più o meno tutto. Facendo sperare in un rinnovo che il più delle volte non arriva, perché il loop va fatto ripartire con forza lavoro (perchè non parliamo più di persone), fresca da spremere per bene.

Ora i lavoratori hanno deciso che a questo punto, visto che le paghe sono miserabili, il trattamento medio opinabile e che quindi un posto vale l’altro, le dimissioni siano una cosa normale. E quindi le danno spesso e volentieri.
Ma alle aziende sembra che questa flessibilità non vada bene, e così ecco che il fenomeno diventa “preoccupante”.

Su CBIB mi è stato detto più volte che le persone si sono dimesse grazie alla mia motivazione, alla spinta in questa direzione: io non ho mai fatto questo. Io ritengo che se sul posto di lavoro ci siano dei problemi cronici, che ci fanno stare male, vadano risolti. Risolti significa che se ne parli con i colleghi, con i capi, con chi di competenza e se ne trovi una soluzione. E la soluzione può essere anche quella delle dimissioni, ma non necessariamente: quella è la soluzione drastica ma estrema.

Ho semplicemente ribadito quello che penso: che il tempo che impieghiamo, in tutto quello che facciamo, non ci verrà mai tornato indietro da nessuno. E che quindi debba essere speso al meglio. Che i sacrifici si fanno, ma devono avere un ritorno di un qualche tipo o essere circoscritti nel tempo: non possono essere una costante. Che “l’andare a lavorare” sia non dico una cosa felice, ma non possa essere un’angoscia che ci rende triste la vita. Se siamo arrivati a un punto tale, e capita spesso, credo vada fatto qualcosa.

Ci fu un periodo della mia vita nel quale verso le 16 della domenica andavo in crisi perché iniziavo a pensare al fatto che il giorno dopo sarei tornato sul posto di lavoro. Non posso dire di essermi tecnicamente dimesso, ma ho fortemente rifiutato il rinnovo contrattuale che era quasi una formalità. Di fatto dimettendomi. Fu la scelta migliore della mia vita perché quel problema domenicale non l’ho mai più avuto. Ma ho sempre sottolineato il fatto che il periodo successivo a questo mio gesto, fu difficile: non trovai un lavoro dignitoso a lungo e passai anche io per colloqui terribili, svolti in aziende allucinanti, con proposte di contratti e stipendi pessimi. Scrivo questo perché non voglio sembrare un motivatore, di quelli che ti dicono di dimetterti perché poi il futuro sarà nelle tue mani e #andràtuttobene. Abbiamo visto che questo slogan non ha portato benissimo diciamo. Ma sono dell’idea che un futuro che va male per mia scelta, sia comunque migliore di un presente che va male per colpa delle scelte di terzi che ricadono direttamente su di me.

Vi lascio con “la Situa, speciale dimissioni” di gennaio 2022 e le esperienze di dimissioni dei Brutters.














































































































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